Il ‘Welfare State’ è probabilmente l’espressione più piena di quel compromesso socialdemocratico che nel Secondo dopoguerra, seppur con modalità differenti da Paese a Paese, ha trovato attuazione nelle democrazie rappresentative dell’Europa occidentale. Con la nascita dei moderni stati del benessere, accanto ai tradizionali diritti civili e politici dello Stato viene riconosciuta la fondamentale rilevanza dei diritti sociali, come quelli alla salute, alla pensione, alla casa e al sostegno in caso di disoccupazione, di infortunio o malattia.
Nell’Italia repubblicana, è proprio nella Costituente che si forma infatti la Commissione per la riforma della previdenza sociale. La Commissione presentò nel 1948 un documento ricco di proposte rivolte a un welfare di tipo lavoristico, con destinatario il lavoratore più che il cittadino. Nessuna riforma organica suggerita dal documento vide però la luce. A giustificazione della mancata riforma venne invocata la grande difficoltà economica-finanziaria in cui l’Italia versava al termine del secondo conflitto mondiale.
I 68 governi che dal 1946 ad oggi si sono succeduti con alternanze di indirizzi rigoristi e di riforme fiscali non sono riusciti a dare corpo allo spirito universalistico del welfare, ipotizzato all’origine. Tante le cause, concause e metodi che lo hanno svuotato della sua natura egualitaria, universale e umanistica, producendo disuguaglianze sempre più marcate tra i cittadini e tra i diversi territori.
L’unità nazionale, infatti, è minata dai divari a livello territoriale, che nell’analisi della spesa sociale appaiono strutturali, anche se indipendenti dal colore dei governi.
Abbiamo un Nord sempre al di spora del resto del Paese, un Centro che insegue e un Mezzogiorno perennemente in affanno.
La Calabria è all’ultimo posto della spesa sociale che risulta essere circa 24 euro per abitante, ossia cinque volte inferiore della spesa nazionale che è di 126 euro, 16 volte più bassa della spesa di 399 euro del trentino Alto Adige.
Queste inaccettabili disuguaglianze rappresentano i limiti e il fallimento di tutto l’impianto del Welfare State italiano rendendolo particolaristico, clientelare e dualistico, in quanto basato prevalentemente su trasferimento di reddito invece che di servizi.
Tale impianto ha relegato la Calabria e tutto il Meridione nella apparente panacea dell’assistenzialismo, mortificandone identità, cultura, arte, intelletto, ingegno.
‘Italia del Meridione’, che ha come missione e programma politico l’abbattimento di qual si voglia divario, si fonda su un Welfare egualitario, universale, umanistico che sia di prossimità, in grado cioè di dare risposte su misura rispetto ai bisogni di ogni comunità e dei suoi territori, con la capacità collaborativa, molto meno burocratica, più snella con i diversi livelli istituzionali.
La riduzione del divario di cittadinanza in termine di accesso ai servizi sociali è anche una priorità trasversale del PNRR, al fine di garantire una omogenea fruibilità dei servizi sociali sull’intero territorio nazionale. IdM, come sempre, vigilerà su questo, continuando a portare avanti le sue battaglie che hanno come scopo l’attuazione dell’equità e della perequazione. L’invito è, quindi, rivolto al nuovo governo che possa finalmente mettere mani alla riforma del welfare, assicurando al territorio nazionale livelli standard e uniformi. Il Meridione si aspetta di vedere garantiti pari dignità e pari assistenza rispetto al resto del Paese.
Giorgia Campanella
Direzione regionale ‘Italia del Meridione’
Dipartimento Welfare